La Fao accoglie a braccia aperte la dieta mediterranea, che torna nella sua casa natale. L’organizzazione dell’Onu che si occupa di cibo e agricoltura dedica un ciclo di incontri internazionali a questo regime alimentare, che l’Organizzazione mondiale della sanità indica come il più sano e sostenibile, l’unico in grado di nutrire il Pianeta senza dilapidarne le risorse. L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla nuova ambasciatrice italiana alla Fao, Vincenza Lomonaco, che ha fatto della promozione di questo stile di vita la sua mission. Al primo incontro, che ha schierato studiosi come Antonia Trichopoulou, Pier Luigi Petrillo, Lucio d’Alessandro, Elisabetta Moro, Lorenzo Maria Donini, e Alberto Angela special guest, ne seguiranno altri cinque, che punteggeranno il cammino da qui fino al 16 novembre 2020, decimo anniversario del riconoscimento Unesco della dieta mediterranea quale patrimonio dell’umanità.
Tutto è cominciato proprio qui a Roma nel 1951, quando Ancel Keys, il più grande nutrizionista del Novecento, ha presieduto il primo congresso mondiale sulla nutrizione umana organizzato dalla Fao, che inaugurava la sua nuova sede. Keys, comparando i dati sulla mortalità in Usa e in Europa, rivelò al mondo che la dieta degli italiani poveri di allora, fatta di cereali, verdura, legumi, olio e pochissima carne, era molto più sana di quella dei ricchi americani. Non a caso, quell’Italia in bianco e nero era più longeva dell’America in technicolor che nuotava nell’abbondanza. Da allora è cominciata l’avventura esaltante di questo stile di vita bello e buono, che mette insieme salute e piacere, essere e benessere. E spalanca autostrade di economia pulita al nostro Paese, che di questo modo di mangiare gioioso e intelligente sta facendo il suo giacimento di petrolio verde.