La dieta mediterranea aggiunge anni alla vita. Ma soprattutto aggiunge vita agli anni. Perché regala una quarta età serena e senza acciacchi. È quanto emerge da uno studio del MedEatResearch, il Centro di ricerca sociale sulla dieta mediterranea dell’università di Napoli Suor Orsola Benincasa. Che, dal 2012, sta svolgendo un’indagine sui tassi di longevità rapportati agli usi e costumi della popolazione del Cilento, dove i centenari sono un esercito. Dall’indagine è emerso che rispetto al resto d’Italia si vive molto più a lungo e in salute, anche senza essere dei privilegiati. Come dire che la longevità da queste parti è un bene comune. Tanto che già negli anni Sessanta l’aspettativa di vita media aveva toccato quegli standard che il resto d’Italia dovrebbe raggiungere nel 2025.
La ricetta è semplice. Tanta verdura, frutta, legumi, pesce azzurro, pasta, pane, olio extravergine. Un consumo oculato di latticini e vino. Carni bianche, formaggi e uova quanto basta. Carni rosse e salumi con moderazione. I dolci non vanno demonizzati ma consumati con giudizio. Senza esagerazioni ma senza autopunizioni. E poi, la vera dieta mediterranea al buon cibo aggiunge il movimento, l’aria pulita e soprattutto la convivialità, il gusto di mangiare in compagnia dedicando ai pasti il giusto tempo. E, infine, il piacere della tavola. È questa la formula ecoalimentare che ha trasformato alcuni paesi della provincia di Salerno in un caso di studio internazionale.
Paestum, Acciaroli, Pollica, Pioppi, Agnone, San Mauro, Velia e Castellabate, la cittadina del film Benvenuti al Sud. Un fazzoletto di terra noto come il “triangolo della lunga vita”. A coniare la definizione furono Ancel e Margaret Keys, gli scienziati americani che, negli anni Cinquanta, dopo un viaggio nell’Italia del Sud, intuirono che nel modo di vivere e di mangiare di quel popolo di contadini e pescatori fosse custodito il segreto della longevità. E soprattutto un metodo semplice e alla portata di tutti per prevenire le malattie cardiovascolari. Per definirlo e proporlo a tutto il mondo inventarono l’espressione dieta mediterranea. Un’etichetta nuova dal sapore antico per quella che si può considerare la scoperta del secolo. A impressionare i due fu l’ospitalità antica di quelle popolazioni, non certo ricche e tuttavia sempre pronte a condividere cibo e risorse.
Con le parole di oggi potremmo dire che i Keys riconobbero nella dieta mediterranea una sharing diet, cioè una dieta della condivisione che mette al centro di tutto la salute dell’individuo ma anche quella dell’ambiente. E della comunità. Segue le stagioni, non spreca le risorse, non eccede nelle quantità. Insomma, aiuta a mantenere in buono stato il tessuto connettivo ma anche il tessuto collettivo. In Cilento, infatti, si respira ancora oggi un’aria di soddisfazione tranquilla che è l’esatto opposto della bulimia consumistica, dell’ansia da performance che sono il modo di vivere del turbocapitalismo. E d’altra parte basta un po’ di buon senso per capire che non ci può essere vero benessere se manca la cura dell’essere. E proprio per queste ragioni il MedEat Research – che ha nel suo think thank chef di fama internazionale come Alfonso Iaccarino, diabetologi illustri come Gabriele Riccardi, nutrizionisti come Franco Contaldo, psico-pedagogisti come Enrico Corbi e Margherita Musello, antropologi come Elisabetta Moro, oltre al fondatore di Slow Food Carlo Petrini – ha presentato a Expo2015 una nuova piramide della dieta mediterranea.
Dove i comportamenti sono tanto importanti quanto gli alimenti. Una piramide social. Per non commettere l’errore di ridurre la dieta mediterranea a una tabella nutrizionale, a un elenco di tabù e di proibizioni. Perché per mettere la salute nel piatto, non è sufficiente calibrare proteine, carboidrati e vitamine. Altrimenti andremmo a pranzo direttamente in farmacia. E allora qual è la ricetta? Ambiente sano, ritmi umani. E tanta, tantissima condivisione. Le ricerche più recenti dicono, infatti, che la solitudine fa più danno dell’obesità. Perché è una disfunzione del corpo sociale. E dunque mangiare un pomodoro in piedi davanti al frigorifero non significa seguire la dieta mediterranea. E meno che meno farsi del bene.
Insomma il Mediterraneo ci ha consegnato una ricetta sana, buona e democratica per nutrire il futuro.

IL TEST Vichingo o Mediterraneo? Dimmi come mangi e ti dirò chi sei“. È la domanda amletica cui cerca di rispondere l’edutest ideato dal MedEatReserach – Centro di ricerche sociali sulla dieta meiterranea dell’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, diretto da Marino Niola ed Elisabetta Moro, insieme al dipartimento di Scienza della nutrizione umana e Dietistica dell’università di Napoli Federico II, diretto da Gabriele Riccardi. Un test educazionale per conoscere il nostro identikit alimentare e offrire, al tempo stesso, uno strumento educativo smart e divertente per migliorare il nostro stile di vita seguendo il modello della dieta mediterranea. Quindici domande che spaziano dalle abitudini alimentari ai comportamenti sociali. Quante volte a settimana consumi legumi e frutta secca? Quante cereali integrali, carne e pesce? Frutta e verdura? E poi, anche, quante volte mangi con amici e familiari? Come arrivi ogni giorno al lavoro? Quanto sport fai? Pochi minuti di test, per scoprire a quale tribù alimentare apparteniamo. Se a quella ispirata alla grande civiltà mediterranea, che è alla base della tradizione italiana, oppure se il nostro stile di vita è diventato quello di un fiordo della Scandinavia medioevale. L’Edutest è gratuito e disponibile sul sito www.edutest-unisob.it, nonchè da oggu su Repubblica.it. Verrà presentato in anteprima a Repubblica delle Idee, sabato 17 giugno alle 10 al Mast di Bologna. E verrà commentato in diretta da Marino Niola.